Riprendiamo un articolo da Montagna Tv:
“Dal 1 gennaio 2010 l’ossigeno supplementare durante le scalate in alta quota non sarà più considerato doping dalla World Antidoping Agency. La clamorosa decisione è stata presa a settembre, nel corso di una riunione del comitato europeo che si occupa ogni anno di aggiornare la lista delle sostanze proibite del Codice Mondiale Antidoping. E il dibattito alpinistico, da sempre dilaniato tra etica, pratica, sicurezza, soccorsi e lealtà sportiva, si raccende più di prima.
L’ossigeno rientrava in questa lista dal 1 gennaio 2007. Era citato in un articolo che vieta espressamente ogni tipo di doping del sangue con specifico riferimento “al miglioramento artificiale del consumo, del trasporto e della liberazione dell’ossigeno” e quindi, per estensione, anche l’uso di ossigeno supplementare. Ciò “valeva” per gli alpinisti in quanto quel codice era stato sottoscritto anche dall’Uiaa, Unione internazionale delle associazioni d’alpinismo.
Oggi, però, Wada ha scritto la nuova definizione escludendo esplicitamente l’uso di ossigeno supplementare dai metodi dopanti. E l’Uiaa ne prende atto, avendo deliberato durante l’assemblea a Porto in ottobre di seguire la politica antidoping di Wada.
Se da un lato è vero che questo divieto aveva comunque scarse conseguenze pratiche, non esistendo “competizioni ufficiali” di alpinismo nè enti internazionali che garantiscano il valore di una salita, dall’altro questa decisione dà comunque un duro colpo all’etica delle scalate in altissima quota, frequentata sempre più da persone che la interpretano “come meglio credono”.
E’ giusto? Non è giusto? Rispondere è difficile perchè, come in ogni campo della vita, l’etica si scontra con la pratica. Della questione si è parlato anche sabato scorso a Bergamo, in occasione del convegno annuale del Club Alpino Accademico Italiano, che ha voluto riflettere su ossigeno e doping alla luce dei gravi incidenti occorsi in Himalaya molti dei quali dovuti all’incapacità degli alpinisti di risolvere situazioni difficili una volta che vengono meno strumenti d’aiuto come corde fisse oppure ossigeno.
“L’ossigeno cambia il senso della fatica che si prova scalando – ha detto Silvio Mondinelli – Aiuta, come molte altre cose che si usano in Himalaya. E c’è una grossa differenza tra chi sale senza e chi sale con. Ma ciò non toglie il senso d’avventura che vivono tutti salendo una cima. Io ho salito 14 ottomila senza ossigeno perchè l’ho voluto e perchè sono stato fortunato. Una volta lo condannavo a priori, oggi la vedo sotto un altro aspetto, quello del rispetto delle persone che lottano per realizzare un sogno. Di quelle, però, che hanno valori e sono oneste. Bisogna chiarire come si scala, cosa si usa. Il vero “doping” da condannare è quello di chi mente”.
Ma c’è anche chi, più duramente, propone di considerare doping non solo l’ossigeno ma ogni tipo di tecnologia o aiuto a cui possano ricorrere gli alpinisti durante la salita o ai campi base. Insomma, la questione resta complessa. Certo è che la ferrea etica dello stile alpino, che ha fatto la storia dell’alpinismo e di cui l’assenza di ossigeno è un pilastro fondamentale, va difesa e preservata. Lo hanno sottolineato all’International Mountain Summit di Bressanone, qualche giorno fa, alpinisti del calibro di Reinhold Messner, Hans Kammerlander, Alexander Huber, Stefan Glowacz e Ines Papert.
“La vera sfida dell’alpinista – ha detto Huber – è la gestione del punto di non ritorno: provare a superare i propri limiti ma sapere quando bisogna rinunciare”. “L’alpinismo è quello che esce dalla pista battuta – ha poi sottolineato Messner – ma questo non vuol dire agire senza criterio. Su 30 spedizioni, io ho rinunciato 13 volte”.
L’Uiaa, comunque, sta provando a rispondere a questa esigenza con un codice etico dell’alpinismo, a cui sta lavorando da mesi una commissione di esperti e che uscirà a breve.
“Per noi l’ossigeno è e resta una questione etica – dichiara Silvio Calvi, membro del board Uiaa -. Se devi andare in un posto, devi andarci con le tue forze, e questo esclude l’uso dell’ossigeno, ma non perchè sia doping o meno. L’Uiaa si preoccupa anche dell’uso indiscriminato che se ne fa oggi, per una questione di sicurezza. Credo che troppi incidenti accaduti in quota abbiano una causa collegabile all’uso dell’ossigeno, che magari in salita c’è e in discesa finisce”.
“Wada, ha preso questa decisione per motivi che esulano dall’alpinismo e riguarano soprattutto altri sport – prosegue Calvi -. Noi usiamo altri argomenti. Per l’Uiaa è essenziale l’aspetto etico, che è essenzialmente una scelta personale. Il codice etico che stiamo elaborando avrà una dozzina di massime tra cui ci sarà sicuramente l’uso dell’ossigeno. Non faremo classifiche o graduatorie, altri lo fanno. Ma per ciò che concerne lo spirito dell’alpinismo, salire con l’ossigeno è una scorciatoia, è usare dei messi impropri. Non è comportarsi by fair means”.